Nel 2026 salta un tassello fondamentale per milioni di italiani. Gli incentivi per la casa, da anni colonna portante delle ristrutturazioni, stanno per scomparire o ridursi drasticamente. Un cambiamento che colpisce direttamente le tasche e che potrebbe avere effetti profondi sul settore edilizio e sul mercato immobiliare. Il bonus mobili sarà eliminato e le detrazioni standard ridotte, portando a una nuova realtà per chi intende intervenire sulla propria abitazione. Un passaggio cruciale che lascia aperti interrogativi e preoccupazioni.
Negli ultimi anni, cambiare pavimenti, rifare un bagno o acquistare una nuova cucina significava anche poter contare su un sostegno concreto. Le detrazioni hanno aiutato tante famiglie a sostenere lavori spesso necessari, migliorando l’efficienza e la vivibilità delle abitazioni.

Ma ora si profila un futuro molto diverso. Il 2026 si avvicina con un carico di incertezze, e la direzione sembra già tracciata. Non solo si va verso la cancellazione del bonus mobili, ma anche verso un ridimensionamento degli sconti fiscali per gran parte degli interventi. Una scelta che, pur giustificata dalle esigenze di bilancio pubblico, rischia di frenare investimenti e di aprire nuovi problemi.
Il bonus mobili verso l’addio: colpita una filiera strategica
Il bonus mobili, misura che ha consentito di detrarre il 50% delle spese sostenute fino a un massimo di 5.000 euro, sarà eliminato a partire dal primo gennaio 2026. Nessun segnale di proroga è all’orizzonte e il Governo sembra deciso a non rinnovare questa agevolazione. Una decisione che impatta direttamente su famiglie e imprese, in particolare sulla filiera del legno-arredo che, secondo FederlegnoArredo, ha beneficiato ampiamente di questa misura negli ultimi anni.

L’eliminazione del bonus mobili non riguarda solo l’acquisto di arredi o elettrodomestici, ma si inserisce in un disegno più ampio di tagli alle agevolazioni legate alla casa. Chi sta ristrutturando o ha in mente di farlo nei prossimi mesi, dovrà affrontare una spesa più alta, senza l’ammortizzazione fiscale che finora ha alleggerito il carico economico. E questo si rifletterà anche sulle scelte delle famiglie, spesso costrette a rinviare o a ridimensionare gli interventi.
Si tratta quindi di un cambiamento che non tocca solo il portafoglio dei cittadini, ma che rischia di mettere in crisi l’intero settore. Le imprese artigiane, i negozi di arredamento e i produttori italiani si troveranno a dover affrontare un calo della domanda che potrebbe avere effetti molto seri sull’occupazione e sulla stabilità economica del comparto.
Tagli alle detrazioni per ristrutturare: lavori più cari, rischio nero
Dal 2026, le detrazioni per la ristrutturazione ordinaria saranno ridotte dal 50% al 36% per le prime case, e al 30% per gli altri immobili. Una sforbiciata significativa, soprattutto considerando che molte famiglie fanno affidamento su questi incentivi per rendere le abitazioni più efficienti e moderne. In parallelo, verranno introdotti limiti di spesa più rigidi per i redditi alti, rendendo meno vantaggiosi anche gli interventi più importanti.
Nel concreto, rifare un impianto elettrico da 10.000 euro oggi significa recuperare 5.000 euro in dieci anni. Dal 2026, il recupero scenderebbe a 3.600 euro o meno. Una differenza che cambia il modo in cui si valuta l’investimento. Non a caso, molti stanno cercando di anticipare lavori e pagamenti entro dicembre 2025 per bloccare le condizioni attuali. Ma non tutti ci riusciranno, vista la saturazione del mercato edilizio.
Il pericolo più concreto è quello del ritorno massiccio al lavoro in nero. Senza incentivi forti, per molti sarà più “conveniente” affidarsi a operatori che non rilasciano fattura, con tutti i rischi che questo comporta in termini di sicurezza e legalità. Si rischia di alimentare un mercato parallelo che penalizza le imprese serie e danneggia i lavoratori regolari. In questo scenario, le disuguaglianze aumentano: chi può permetterselo continuerà a ristrutturare legalmente, mentre altri saranno spinti verso soluzioni meno trasparenti.
Una riflessione è inevitabile: serve davvero tagliare proprio lì dove le ricadute sociali ed economiche sono così ampie? Senza una strategia di lungo periodo, il rischio è che si paghi un prezzo molto più alto dei risparmi ottenuti in bilancio.