Fisco, sentenza incredibile della Corte di Cassazione: la lotta all’evasione rischia di colpire anche gli onesti

Con la sentenza n. 27118 del 9 ottobre 2025, la Corte di Cassazione ha introdotto un principio che sta facendo discutere l’intero mondo del diritto tributario: in presenza di scritture contabili inattendibili, l’onere della prova si sposta sul contribuente. Una svolta che cambia radicalmente i rapporti tra Fisco e imprese, potenziando i poteri dell’Agenzia delle Entrate nella lotta all’evasione fiscale.

L’ordinanza, depositata dalla Sezione Tributaria della Suprema Corte, apre una nuova fase nei procedimenti di accertamento fiscale. Se un’impresa presenta una contabilità incompleta, falsa o contraddittoria, il Fisco può ricostruire i redditi non dichiarati attraverso il cosiddetto metodo analitico-induttivo, basandosi anche su presunzioni semplici. Si tratta di uno strumento che consente all’amministrazione finanziaria di dedurre la presenza di ricavi in nero da indizi oggettivi come discrepanze tra acquisti e vendite, fatture false o operazioni inesistenti.

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Fisco, sentenza shock della Corte di Cassazione: la lotta all’evasione rischia di colpire anche gli onesti – mondoefinanza.it

Il principio stabilito, se da un lato rafforza la lotta contro le frodi, dall’altro introduce una forte criticità per i contribuenti, poiché ribalta la dinamica processuale classica. A spiegare la portata della decisione, secondo quanto riportato da Il Sole 24 Ore e La Legge per Tutti, è il fatto che “una volta che il Fisco costruisce un quadro indiziario coerente, la prova contraria ricade interamente sul contribuente”, come previsto dall’articolo 2729 del Codice Civile.

La sentenza della Cassazione e il nuovo potere delle presunzioni fiscali

La pronuncia della Cassazione riscrive le regole del gioco in tema di accertamento tributario. Il principio è chiaro: di fronte a scritture contabili inattendibili, l’Agenzia delle Entrate può superare i dati ufficiali e ricostruire il reddito reale utilizzando presunzioni semplici con requisiti di gravità, precisione e concordanza.
Nel caso esaminato, la società oggetto di verifica aveva utilizzato fatture false emesse da cosiddette imprese “cartiere”, società fittizie senza dipendenti né mezzi produttivi reali, create solo per generare costi inesistenti e ridurre l’imponibile. Dopo la verifica della Guardia di Finanza, l’Agenzia aveva emesso un avviso di accertamento basato sul metodo analitico-induttivo. I giudici tributari regionali avevano annullato l’atto, ma la Cassazione ha ribaltato la sentenza: i giudici avrebbero dovuto valutare la solidità dell’impianto probatorio costruito dal Fisco, che rendeva inattendibili le scritture contabili.

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La sentenza della Cassazione e il nuovo potere delle presunzioni fiscali – mondoefinanza.it

Il principio di fondo è che “quando la contabilità non è affidabile, la ricostruzione presuntiva diventa legittima”. Ciò comporta che il Fisco non ha più l’onere di dimostrare in modo diretto l’evasione, ma può basarsi su elementi indiziari per stimare i redditi. È il contribuente, invece, a dover fornire una prova contraria solida e documentata, dimostrando che i redditi presunti non esistono. Un simile approccio, se applicato estensivamente, sposta il baricentro del processo tributario. Come chiarisce la Corte, la “inversione dell’onere della prova” è giustificata dal principio di collaborazione e buona fede tra contribuente e amministrazione, ma deve comunque basarsi su presunzioni logiche e non su semplici sospetti.

Accertamento analitico-induttivo e rischi per le imprese

Il cosiddetto accertamento analitico-induttivo, disciplinato dall’articolo 39 del D.P.R. 600/1973, rappresenta uno degli strumenti più incisivi a disposizione del Fisco. Esso consente di “colmare i vuoti” lasciati da una contabilità lacunosa attraverso inferenze logiche: partendo da fatti noti (come differenze tra movimenti bancari e dichiarazioni fiscali), l’Agenzia può dedurre l’esistenza di redditi occultati.
Questo metodo, però, comporta implicazioni delicate. Se da un lato rafforza la capacità investigativa dello Stato contro le frodi, dall’altro espone anche le imprese oneste a maggiori rischi. Basterebbe infatti un errore formale o un’irregolarità amministrativa per attivare un accertamento presuntivo. Come ricordato dalla Corte dei Conti in una recente relazione, l’uso esteso delle presunzioni può generare “probatio diabolica”, ossia la difficoltà per il contribuente di dimostrare un fatto negativo: la non esistenza dei redditi contestati.

In termini pratici, una piccola o media impresa che commette errori contabili o omette alcune registrazioni potrebbe trovarsi nella condizione di dover provare la propria innocenza fiscale, con costi elevati e tempi lunghi. Questo spostamento dell’onere probatorio, pur in linea con la necessità di contrastare l’evasione fiscale, rischia di minare il principio di equilibrio processuale previsto dall’articolo 2697 del Codice Civile.
Secondo il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti, la sentenza 27118 apre uno scenario in cui la corretta tenuta della contabilità e la tracciabilità delle operazioni diventano elementi centrali per evitare contestazioni. Una gestione anche solo disordinata può essere interpretata come “inattendibile”, dando via libera all’azione presuntiva del Fisco.
La decisione della Cassazione, pur nascendo da un caso di frode conclamata, potrebbe dunque avere effetti dirompenti sull’intero sistema dei controlli tributari, rafforzando la posizione dell’amministrazione finanziaria ma, al tempo stesso, aumentando la vulnerabilità dei contribuenti onesti che dovranno dimostrare, con precisione, la piena regolarità della propria attività economica.

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