Due titoli di Stato che sembrano simili ma nascondono rischi e opportunità molto diversi ecco cosa bisogna davvero valutare prima di scegliere dove investire. C’è sempre un momento, davanti a un foglio Excel o alla schermata della banca online, in cui due opzioni sembrano praticamente uguali. Pochi decimali di differenza nel rendimento, una scadenza leggermente diversa, magari anche lo stesso nome o quasi. È proprio lì che inizia la vera difficoltà. Perché scegliere tra due BTP che si presentano come fratelli quasi gemelli può diventare un esercizio che va oltre i numeri.
In apparenza, infatti, il BTP FX 2,70% Ottobre 2030 e il BTP FX 2,65% Giugno 2028 offrono rendimenti molto simili. Ma basta approfondire un po’ per scoprire che sotto la superficie ci sono differenze che potrebbero pesare davvero sul risultato finale dell’investimento. Non si tratta solo di quanto rende un titolo, ma anche di quanto può rischiare, quanto costa davvero e quanto può oscillare se i mercati cambiano umore.
Quando si guarda oltre la cedola e si tiene conto di fattori come il prezzo di mercato, la duration e il contesto economico, si capisce che il rendimento non è l’unica bussola da seguire. Ed è proprio qui che questo confronto prende una piega meno scontata di quanto sembri all’inizio.
Il BTP FX 2,70% Ottobre 2030 offre un rendimento netto del 2,31%, mentre il BTP FX 2,65% Giugno 2028 si ferma all’1,91%. Differenza chiara, a favore del primo. Anche il prezzo d’acquisto è interessante: 100,27 per il titolo a tre anni, contro i 101,03 del cinque anni. Ma c’è un dettaglio che cambia completamente il quadro, ed è la duration modificata.
Il titolo a scadenza più breve ha una duration più alta: 4,51 contro 2,47. Questo significa che è molto più sensibile ai movimenti dei tassi di interesse. Una scelta apparentemente più prudente può in realtà portare a maggiore volatilità nel breve termine, soprattutto se si pensa di vendere prima della scadenza.
Come spiega l’Agenzia delle Entrate nei suoi documenti sulle obbligazioni, la duration è uno strumento essenziale per misurare il rischio di tasso. Un aumento dei tassi da parte della BCE, per esempio, farebbe scendere più rapidamente il valore del BTP a 3 anni rispetto al 5 anni. È un dato controintuitivo ma reale, e per chi investe è un campanello d’allarme importante.
Oltre al rendimento e alla durata, anche il prezzo di acquisto incide in modo diretto sul risultato finale. Pagare 101,03 per un titolo che verrà rimborsato a 100 significa iniziare con una minusvalenza. Il BTP a 3 anni, al contrario, costa poco più del valore nominale e questo lo rende più interessante a parità di cedola.
Ma bisogna anche considerare l’ambiente economico. In un contesto in cui l’inflazione può tornare a salire, come segnalato dal MEF e dalla stessa INPS, un rendimento netto sotto il 2% potrebbe non proteggere il potere d’acquisto. Il titolo a 3 anni offre un margine più ampio, ma a fronte di un rischio di maggiore oscillazione.
L’orizzonte temporale gioca un ruolo cruciale. Chi prevede di tenere il titolo fino a scadenza può permettersi di guardare più al rendimento. Chi invece ha esigenze di liquidità più ravvicinate dovrebbe essere molto più attento alla stabilità del capitale nel breve termine. Anche un rendimento più basso può diventare preferibile, se accompagnato da una minore esposizione ai rischi di mercato.
In definitiva, la scelta tra i due titoli di Stato non può basarsi solo sulla cifra riportata sotto “rendimento netto”. Serve valutare con attenzione ogni elemento: prezzo, rischio tasso, inflazione e orizzonte temporale. Solo così un investimento diventa davvero consapevole e in linea con le esigenze personali.
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