Una nuova sentenza della Corte di Cassazione cambia le regole sulla responsabilità del datore di lavoro. Se un dipendente muore per infarto legato allo stress da lavoro, l’azienda deve dimostrare di aver adottato tutte le misure di tutela. Una svolta che rafforza i diritti dei lavoratori e apre scenari importanti sul tema della salute professionale.
Il tema è cruciale perché riguarda milioni di lavoratori che ogni giorno affrontano ritmi intensi e carichi eccessivi. La Cassazione ha chiarito che lo stress lavorativo può essere causa diretta di gravi patologie e che il datore di lavoro non può sottrarsi alle proprie responsabilità. Questo principio, già emerso in precedenti ordinanze, oggi trova un consolidamento che avrà conseguenze rilevanti anche sui futuri contenziosi e sulla gestione dei rapporti di lavoro in Italia.

Il riconoscimento del danno non è solo economico, ma riguarda anche la sofferenza morale, la dignità costituzionalmente garantita del lavoratore e l’impatto psicologico che tali condizioni possono determinare sull’intero nucleo familiare. Inoltre, l’orientamento dei giudici rafforza l’obbligo delle aziende di adottare misure preventive, come una corretta organizzazione del lavoro, turni sostenibili e adeguati strumenti di tutela della salute, elementi che in futuro diventeranno sempre più centrali nei processi di valutazione delle responsabilità.
Stress da lavoro e responsabilità del datore: cosa prevede la Cassazione
Secondo l’ordinanza n. 26923 del 7 ottobre 2025, la Corte di Cassazione ha stabilito che, in caso di decesso o gravi danni dovuti allo stress da lavoro, l’onere della prova si inverte. Una volta dimostrato dal dipendente o dai familiari il legame tra condizioni lavorative e patologia, spetta al datore di lavoro provare di aver fatto tutto il possibile per evitare l’evento.

Gli esempi riportati in sentenza parlano chiaro: turni massacranti, assenza di pause, pressione costante e ritmi insostenibili possono determinare un infarto da stress riconducibile all’attività lavorativa. Un caso emblematico riguarda un medico costretto a turni estremi, la cui morte è stata collegata direttamente alle condizioni di lavoro. La Cassazione ha ribadito che il datore non deve solo fornire strumenti e sicurezza fisica, ma garantire la tutela complessiva del benessere psico-fisico del dipendente.
Il riconoscimento del danno morale e i valori costituzionali del lavoro
Un altro aspetto centrale è il riconoscimento del danno morale. Non si tratta soltanto di rimborsare le spese o il mancato guadagno, ma di riconoscere le sofferenze interiori vissute dalla vittima e dai familiari. Già con l’ordinanza n. 25191 del 2023, relativa a un autista di autobus colpito da infarto, la Cassazione aveva stabilito che le paure e i turbamenti emotivi derivanti da una malattia professionale devono essere risarciti come voce autonoma. A ciò si aggiunge un richiamo alla Costituzione italiana, che tutela il lavoro non solo come fonte di reddito, ma come strumento di dignità, identità personale e partecipazione sociale.
La Corte ha chiarito che privare un lavoratore della possibilità di svolgere la propria attività a causa di un comportamento illecito del datore equivale a ledere valori fondamentali della democrazia. Il messaggio è chiaro: la tutela della salute dei lavoratori è un obbligo inderogabile e il mancato rispetto può portare a pesanti condanne risarcitorie.





