Il congedo parentale è un diritto fondamentale per i lavoratori che devono occuparsi dei figli, ma il suo utilizzo improprio può portare a conseguenze gravi. La giurisprudenza ha chiarito che svolgere altre attività durante il congedo può far scattare il licenziamento per giusta causa. Le recenti sentenze mettono in luce i limiti da rispettare per non trasformare un diritto in un abuso.
Il tema dell’uso corretto del congedo parentale continua a generare dibattiti e contenziosi. Molti lavoratori si chiedono fino a dove si spingono i confini del diritto riconosciuto dal Testo Unico sulla maternità e paternità (D.lgs. 151/2001). Il congedo è pensato per assistere i figli nei primi anni di vita, ma non è una pausa da utilizzare liberamente per altre attività. Secondo i dati del Ministero del Lavoro, negli ultimi anni sono aumentati i procedimenti disciplinari legati a utilizzi impropri, spesso con conseguente licenziamento.

La Corte di Cassazione ha più volte ribadito che il comportamento del lavoratore deve essere compatibile con la finalità assistenziale del congedo: non basta evitare un danno economico al datore di lavoro, ma occorre rispettare la fiducia nel rapporto contrattuale. È proprio su questo terreno che si gioca la distinzione tra uso legittimo e abuso.
Congedo parentale e attività incompatibili
Le sentenze della Cassazione e le pronunce dei tribunali di merito hanno delineato i casi in cui il lavoratore rischia concretamente il licenziamento per giusta causa. In particolare, lo svolgimento di un’altra attività lavorativa durante il periodo di congedo, anche se autonoma o saltuaria, è considerato incompatibile con la finalità del permesso. La Cassazione, con ordinanza n. 2157/2025, ha chiarito che il datore di lavoro può ricorrere anche a investigatori privati per verificare eventuali abusi, purché le indagini siano mirate e proporzionate.

Il principio guida resta quello della fiducia: se il lavoratore utilizza il congedo per finalità estranee alla cura dei figli, compromette irrimediabilmente il rapporto fiduciario. Tuttavia, non ogni comportamento estraneo all’assistenza è sufficiente a giustificare il recesso. Ad esempio, attività marginali o compatibili con l’assistenza – come brevi commissioni o aiuti familiari – non configurano automaticamente un illecito disciplinare. La differenza sta nella sistematicità e nella consapevolezza dell’abuso.
Le conseguenze del comportamento scorretto
Chi utilizza il congedo parentale per scopi diversi da quelli previsti rischia conseguenze rilevanti. In primo luogo, il licenziamento disciplinare, che comporta la perdita immediata del posto di lavoro senza diritto ad alcuna indennità. Inoltre, il lavoratore può essere chiamato a rispondere del danno arrecato al datore di lavoro, soprattutto se l’attività alternativa svolta era di natura concorrenziale.
Secondo l’Inps, i controlli sui permessi 104 e sui congedi parentali hanno portato negli ultimi tre anni a centinaia di provvedimenti disciplinari, spesso confermati in sede giudiziaria. Le decisioni più recenti, citate anche da fonti come La Legge per Tutti e confermate da studi legali specializzati in diritto del lavoro, ribadiscono che il principio di proporzionalità va sempre applicato: solo gli abusi gravi, consapevoli e ripetuti, tali da minare la fiducia, giustificano la misura estrema del licenziamento.
Il quadro che emerge è chiaro: il congedo resta uno strumento prezioso, ma va usato nel rispetto delle regole e della sua finalità originaria. Ogni utilizzo scorretto può trasformare un diritto in una causa di esclusione dal mondo del lavoro.