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Investigatore privato e Legge 104, le 5 sentenze della Cassazione che possono costare il posto di lavoro

I permessi previsti dalla Legge 104 sono uno strumento fondamentale per garantire l’assistenza a familiari con disabilità grave. Negli ultimi anni la giurisprudenza si è più volte espressa sul tema dell’abuso e sul possibile utilizzo dell’investigatore privato da parte dei datori di lavoro. Le sentenze della Cassazione hanno chiarito limiti, condizioni e conseguenze, delineando un quadro complesso che interessa migliaia di lavoratori italiani.

L’argomento dei permessi 104 suscita sempre grande interesse perché coinvolge non solo diritti acquisiti ma anche la responsabilità etica e giuridica di chi li utilizza. Al centro del dibattito vi è il ricorso all’investigatore privato, uno strumento che può sembrare invasivo ma che in alcuni casi è stato ritenuto legittimo dalla Cassazione. Le sentenze più recenti hanno ribadito che il controllo è possibile solo in presenza di fondati sospetti, evitando qualsiasi sorveglianza indiscriminata o volta a monitorare la semplice produttività. Questo aspetto richiama un delicato equilibrio tra diritto alla privacy e potere di controllo del datore di lavoro.

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L’utilizzo dei permessi ex Legge 104/1992 comporta infatti una fiducia reciproca: da un lato il lavoratore che beneficia di giorni retribuiti per l’assistenza, dall’altro il datore di lavoro che deve poter contare sulla correttezza nell’utilizzo. Non mancano casi in cui i giudici hanno annullato licenziamenti ritenuti sproporzionati, anche quando vi era la prova di comportamenti non perfettamente allineati alla finalità assistenziale. Al contrario, in presenza di un abuso sistematico, la giurisprudenza ha confermato la legittimità del licenziamento per giusta causa.

Quando l’investigatore privato è considerato legittimo

Secondo diverse pronunce della Cassazione, tra cui l’ordinanza n. 2157/2025, l’attività dell’investigatore privato è lecita se finalizzata ad accertare un eventuale uso improprio dei permessi 104. Non è invece ammesso un controllo generale sulla prestazione lavorativa, vietato dallo Statuto dei lavoratori. La Corte ha precisato che i controlli devono essere mirati, proporzionati e circoscritti ai giorni e agli orari in cui il dipendente usufruisce del permesso.

Fonti come Il Sole 24 Ore e Laleggepertutti confermano che il datore di lavoro può incaricare un’agenzia investigativa solo quando emergano sospetti concreti, ad esempio segnalazioni interne o comportamenti anomali. L’investigatore può documentare spostamenti o attività che appaiono inconciliabili con l’assistenza, ma non può raccogliere informazioni irrilevanti o incidere sulla sfera privata al di fuori del perimetro lavorativo.

Quando l’investigatore privato è considerato legittimo – mondoefinanza.it

Un controllo eccessivo o invasivo comporterebbe la nullità delle prove raccolte e renderebbe illegittimo il licenziamento. Come spiegano gli esperti di diritto del lavoro di Lavoroediritti.com, la legittimità dell’investigazione dipende quindi dal rispetto dei principi di proporzionalità e pertinenza, in linea con le garanzie previste dall’ordinamento.

Abuso dei permessi e conseguenze disciplinari

Il tema dell’abuso dei permessi 104 è centrale nella giurisprudenza. Secondo le sentenze della Cassazione, non ogni attività estranea all’assistenza giustifica automaticamente un licenziamento. È stato chiarito, ad esempio, che utilizzare parte del tempo anche per riposarsi o svolgere brevi incombenze personali non integra abuso se l’assistenza al familiare disabile è comunque garantita.

Diverso è il caso in cui il lavoratore utilizzi in maniera sistematica i permessi per attività totalmente estranee, come viaggi, hobby o lavori personali. In tali circostanze, la Cassazione ha ritenuto legittimo il licenziamento per giusta causa, in quanto viene meno il vincolo fiduciario con il datore di lavoro. Secondo i dati riportati da fonti come Repubblica e Il Sole 24 Ore, i giudici valutano con attenzione la gravità e la frequenza delle condotte, applicando il principio di proporzionalità della sanzione disciplinare.

Un esempio significativo riguarda il caso di un lavoratore sorpreso in attività sportive durante i giorni di permesso: la Suprema Corte ha confermato che un comportamento reiterato di questo tipo è sufficiente a giustificare la risoluzione del rapporto. Al contrario, in casi isolati, i giudici hanno disposto il reintegro del dipendente, considerando sproporzionata la sanzione.

Il quadro che emerge è quindi di equilibrio: l’uso corretto dei permessi 104 resta un diritto fondamentale, ma il loro abuso sistematico comporta rischi seri, fino alla perdita del posto di lavoro.

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