Ricevere un risarcimento può sembrare una vittoria, ma non sempre è esente da tasse. Quando l’importo supera il danno subito, infatti, può emergere un reddito imponibile da dichiarare. La normativa e la giurisprudenza chiariscono i confini tra risarcimento non tassabile e indennizzo che genera un vantaggio economico, soprattutto nei casi di transazioni o accordi stragiudiziali.
Negli ultimi anni l’Agenzia delle Entrate e la Corte di Cassazione hanno affrontato numerosi casi in cui il risarcimento superava la perdita effettiva. In tali situazioni, stabilire se l’importo vada dichiarato dipende dalla natura del danno compensato. L’articolo 6 del Testo unico delle imposte sui redditi (d.P.R. 917/1986) è la base normativa che distingue tra risarcimenti con funzione reintegrativa e quelli con funzione sostitutiva del reddito.
Secondo le analisi pubblicate su Il Sole 24 Ore e Italia Oggi, la distinzione non è solo teorica: chi riceve somme eccedenti rispetto al danno subito deve saper dimostrare la loro natura per evitare contestazioni fiscali.
Il risarcimento non è mai soggetto a tassazione se serve esclusivamente a compensare un danno economico subito, senza generare un guadagno. Rientrano in questa categoria le somme destinate a coprire il danno emergente, cioè la perdita effettiva di un bene o di un valore patrimoniale.
Ad esempio, il rimborso per la riparazione di un’auto danneggiata o per la sostituzione di un macchinario rotto non va dichiarato al fisco, poiché ha una funzione puramente compensativa. Anche i danni non patrimoniali, come il danno biologico o morale, restano fuori dal campo dell’imposizione fiscale, trattandosi di somme destinate a riparare pregiudizi alla persona e non alla sfera economica.
La Cassazione (sentenza n. 10244/2017) ha ribadito che i risarcimenti percepiti non costituiscono reddito imponibile se “tendono a riparare un pregiudizio di natura diversa dalla perdita di redditi”. Diversamente, se l’indennizzo sostituisce un reddito che non è stato percepito – ad esempio, una retribuzione mancata o un compenso professionale non incassato – la somma deve essere dichiarata come reddito ordinario e tassata secondo le aliquote IRPEF vigenti.
Il problema sorge quando il risarcimento è superiore al valore effettivo del danno. Ciò può accadere, ad esempio, nelle transazioni stragiudiziali, quando il responsabile preferisce versare un importo maggiore per evitare un processo. In questi casi, la parte “in eccesso” può assumere rilievo fiscale. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 25622/2021, ha chiarito che spetta al giudice verificare se l’importo ricevuto sia effettivamente una reintegrazione patrimoniale o una forma di guadagno. Se la somma eccedente compensa un mancato reddito, diventa tassabile; se invece è corrisposta per coprire danni accessori o per ragioni equitative, resta esente da imposte.
Anche la sentenza n. 8615/2023 della Cassazione ha rafforzato questo principio, precisando che la semplice indicazione di “risarcimento del danno” in un verbale di conciliazione non basta a escludere la tassazione: è necessario dimostrare che la somma serva a riparare un danno emergente e non a sostituire un reddito.
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