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Economia e Finanza

I limiti da non superare senza partita IVA secondo l’Agenzia delle Entrate per le prestazioni occasionali

Le prestazioni occasionali rappresentano una forma di lavoro flessibile e temporanea, molto utilizzata da chi svolge attività saltuarie senza aprire partita IVA. Tuttavia, esistono limiti economici, fiscali e contributivi precisi da rispettare per evitare sanzioni o la riqualificazione in lavoro autonomo continuativo. Ecco cosa prevede la legge e quali soglie non si devono superare.

Negli ultimi anni l’Agenzia delle Entrate e l’INPS hanno intensificato i controlli sulle prestazioni occasionali, in particolare su chi le utilizza in modo sistematico per eludere l’apertura della partita IVA. La normativa – che affonda le radici nell’art. 2222 del Codice Civile e nel D.L. 269/2003 – prevede che il lavoro occasionale sia caratterizzato da saltuarietà, assenza di organizzazione e non abitualità. In altre parole, chi presta un servizio o realizza un’attività senza strumenti professionali o continuità temporale può operare senza partita IVA, purché rispetti il limite dei 5.000 € annui ai fini contributivi INPS.

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Superare tale soglia non comporta automaticamente l’obbligo di aprirla, ma fa scattare l’iscrizione alla Gestione Separata e il versamento dei contributi previdenziali dovuti. Secondo analisi pubblicate da Il Sole 24 Ore e Italia Oggi, questo sistema resta uno dei più usati dai giovani freelance e da chi integra il reddito con collaborazioni saltuarie.

Prestazioni occasionali e limiti di reddito: quando serve la partita IVA

Il limite di 5.000 € non rappresenta una soglia fiscale, bensì un parametro previdenziale introdotto dall’art. 44, comma 2, del D.L. 269/2003. Significa che chi svolge prestazioni occasionali per uno o più committenti può guadagnare fino a 5.000 € lordi in un anno solare senza versare contributi INPS.
Se si superano i 5.000 €, è obbligatoria l’iscrizione alla Gestione Separata INPS, ma solo sulla parte eccedente. L’aliquota contributiva attuale è del 33,72%, di cui il 22,48% a carico del committente e l’11,24% a carico del prestatore. I versamenti avvengono tramite modello F24 e vengono gestiti direttamente dal datore di lavoro o dal professionista che commissiona l’attività.

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Tuttavia, come ribadito dall’Agenzia delle Entrate, il superamento della soglia non obbliga ad aprire la partita IVA, a meno che l’attività non diventi abituale e organizzata. Se, ad esempio, un fotografo realizza servizi occasionali per diversi clienti nel corso dell’anno, restando entro i 5.000 €, può operare come prestatore occasionale. Ma se pubblicizza la propria attività, utilizza strumenti professionali o lavora con continuità, anche sotto tale soglia, l’attività va considerata professionale e richiede l’apertura della partita IVA.Il limite, inoltre, è calcolato sul compenso lordo, cioè prima della trattenuta fiscale del 20% (la cosiddetta ritenuta d’acconto). Ciò significa che, anche se il prestatore incassa 800 € netti su 1.000 €, ai fini INPS e fiscali il reddito considerato è comunque di 1.000 €.

Tassazione, ritenuta d’acconto e rischi per chi non è in regola

Dal punto di vista fiscale, i redditi derivanti da prestazioni occasionali rientrano tra i “redditi diversi” e vanno dichiarati nel modello 730 o Redditi PF. Si sommano quindi al reddito complessivo e sono soggetti alle aliquote IRPEF vigenti: 23% fino a 28.000 €, 35% da 28.001 a 50.000 € e 43% oltre i 50.000 €. Quando il committente è un sostituto d’imposta (come un’azienda o un professionista), deve applicare la ritenuta d’acconto del 20% e versarla all’Agenzia delle Entrate. Se, invece, il committente è un privato, il prestatore riceve l’intero compenso e dovrà provvedere autonomamente alla dichiarazione dei redditi. Oltre ai 5.000 €, scatta l’obbligo contributivo INPS, ma solo sulla parte eccedente: se un prestatore incassa 6.000 €, i contributi sono calcolati su 1.000 €. Tuttavia, non è necessario aprire la partita IVA finché l’attività resta sporadica e non organizzata.

La durata della prestazione non è definita per legge: può durare giorni o mesi, purché resti occasionale. Secondo le indicazioni del Ministero del Lavoro, è la natura del rapporto – non il tempo – a determinarne la legittimità. Chi supera i limiti senza adeguarsi rischia la riqualificazione dell’attività come lavoro autonomo professionale, con obbligo retroattivo di apertura della partita IVA, pagamento dell’IVA evasa e sanzioni fiscali e contributive. L’INPS può inoltre richiedere i contributi non versati maggiorati di interessi. Per evitare irregolarità, la ricevuta per prestazione occasionale deve sempre indicare l’importo lordo, la ritenuta (se dovuta), la dicitura “prestazione di lavoro occasionale ai sensi dell’art. 2222 c.c.”, la marca da bollo da 2 € per importi superiori a 77,47 €, e la firma del prestatore.

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