Affitto breve o contratto transitorio? Capire le differenze è fondamentale per scegliere la formula giusta, rispettare la legge ed evitare sanzioni fiscali. Dalla durata ai requisiti, le regole cambiano in base alle esigenze del locatore e dell’inquilino.
La diffusione degli affitti temporanei, spinta dalle piattaforme digitali e dalla mobilità lavorativa, ha reso sempre più frequente la scelta tra affitto breve e contratto transitorio. Sebbene possano sembrare simili, si tratta di due strumenti giuridici distinti, regolati da normative differenti e con finalità specifiche. La scelta sbagliata può comportare la riqualificazione del contratto e l’applicazione di imposte o vincoli imprevisti.
Gli esperti di Il Sole 24 Ore e Altalex sottolineano che la chiave per individuare la formula corretta sta nella durata e nella motivazione dell’accordo. Mentre l’affitto breve nasce per finalità turistiche o di ospitalità temporanea, il contratto transitorio è pensato per chi ha necessità abitative legate a cause lavorative, di studio o familiari. Entrambi devono essere redatti per iscritto e registrati nei casi previsti dalla legge, ma con modalità e obblighi diversi. Capire come funzionano, chi può utilizzarli e quando conviene applicarli è essenziale per evitare contestazioni fiscali o amministrative.
L’affitto breve è una locazione di durata non superiore a 30 giorni, stipulata da persone fisiche al di fuori dell’attività d’impresa. Rientrano in questa categoria le locazioni turistiche e gli affitti occasionali di appartamenti o stanze. Secondo l’Agenzia delle Entrate, il contratto non richiede registrazione se la durata non supera i 30 giorni complessivi nell’anno con lo stesso conduttore. Tuttavia, è obbligatorio comunicare i dati alla Questura tramite il portale “Alloggiati Web” e versare la cedolare secca al 21% sui redditi percepiti.
Dal 2024, con il nuovo decreto sugli affitti brevi, il legislatore ha introdotto ulteriori vincoli per i locatori, tra cui l’obbligo di codice identificativo nazionale (CIN) e la possibilità per i Comuni di fissare limiti al numero di giorni di locazione. L’obiettivo, come spiegano Italia Oggi e Il Messaggero, è di garantire maggiore trasparenza e prevenire l’evasione fiscale. L’affitto breve è ideale per soggiorni temporanei turistici o per motivi di lavoro, ma non consente la residenza né la stipula di contratti di utenze a nome dell’inquilino. È quindi una formula adatta a proprietari che vogliono monetizzare per periodi brevi, ma che devono gestire con precisione adempimenti e comunicazioni fiscali.
Il contratto di locazione transitorio è disciplinato dall’art. 5 del D.M. 30 dicembre 2002 ed è destinato a soddisfare esigenze abitative di carattere temporaneo. La durata varia da un minimo di 1 mese a un massimo di 18 mesi e deve essere motivata da cause documentabili, come trasferimenti lavorativi, corsi di formazione, cure sanitarie o ristrutturazioni dell’abitazione principale.
A differenza dell’affitto breve, il contratto transitorio va sempre registrato all’Agenzia delle Entrate e prevede l’applicazione della cedolare secca al 21% o al 10% nei Comuni ad alta tensione abitativa. La Confedilizia evidenzia che la motivazione della transitorietà deve essere inserita nel contratto e corredata da documentazione, altrimenti la locazione viene trasformata automaticamente in un contratto 4+4 a canone libero.
Il canone può essere liberamente concordato solo nei Comuni non soggetti agli accordi territoriali; altrove, invece, deve rispettare i parametri stabiliti dalle associazioni di categoria dei proprietari e degli inquilini. Rispetto all’affitto breve, il contratto transitorio garantisce maggiore tutela per entrambe le parti, poiché regola chiaramente la durata, il recesso e le modalità di riconsegna dell’immobile. È la soluzione più adatta per chi deve spostarsi temporaneamente per lavoro o studio senza dover stipulare un contratto a lungo termine.
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