Chi ha ristrutturato casa con il Superbonus 110% e intende venderla deve prestare attenzione alla tassazione sulla plusvalenza. Le regole aggiornate del Tuir (articoli 67 e 68) prevedono che le spese coperte dallo sconto in fattura o dalla cessione del credito non possano essere conteggiate come costo di acquisto. In sostanza, chi ha già beneficiato del bonus non può usarlo per ridurre le imposte sulla vendita, salvo specifiche eccezioni temporali e normative.
Le conseguenze fiscali emergono soprattutto per chi rivende entro cinque anni dalla fine dei lavori, quando l’immobile rientra nel perimetro della tassazione delle plusvalenze. Tuttavia, la normativa prevede eccezioni in caso di utilizzo come abitazione principale o di cessione dopo un periodo più lungo. La circolare 13/E/2024 dell’Agenzia delle Entrate e il Messaggio INPS 3249/2025 hanno fornito chiarimenti anche sui casi di comproprietà e successione.
Il calcolo della plusvalenza immobiliare parte dalla differenza tra il prezzo di vendita e il costo storico di acquisto, maggiorato delle spese documentate. Tuttavia, nel caso di lavori finanziati dal Superbonus 110%, la legge stabilisce che i costi coperti tramite sconto in fattura o cessione del credito non possono essere sommati al costo d’acquisto. In pratica, il vantaggio fiscale già fruito viene “neutralizzato” ai fini del calcolo della plusvalenza. Esempio: se un immobile acquistato per 200.000 € è stato oggetto di interventi per 100.000 € coperti dal Superbonus e poi rivenduto a 320.000 €, la plusvalenza imponibile sarà calcolata su 120.000 €, non su 20.000 €.
Esiste però una deroga: se la vendita avviene dopo cinque anni dalla conclusione dei lavori, il contribuente può considerare come incremento del costo il 50% delle spese agevolate, riducendo così parzialmente l’imposta. Questa regola, confermata anche da Teleborsa e Il Messaggero, mira a tutelare chi ha effettuato lavori di lungo periodo a beneficio dell’efficienza energetica.
Restano deducibili anche gli oneri non coperti dal Superbonus, come spese notarili, parcelle tecniche, imposte ipotecarie e catastali o ulteriori ristrutturazioni con altri bonus edilizi (es. Bonus casa 50% o Ecobonus 65%).
Una volta determinata la plusvalenza imponibile, chi vende può scegliere tra due modalità di tassazione. La prima consiste nell’includere la plusvalenza nel reddito complessivo Irpef, soggetto alle aliquote progressive. La seconda, più semplice, è l’applicazione dell’imposta sostitutiva del 26% prevista dall’articolo 1, comma 496, della legge 266/2005.
Per accedere all’imposta sostitutiva, è necessario dichiarare la scelta al notaio al momento del rogito; sarà poi il notaio stesso a versare l’importo all’Erario per conto del contribuente. Questa opzione, spiega FiscoOggi, evita la necessità di indicare la plusvalenza nella dichiarazione dei redditi e semplifica gli adempimenti fiscali.
Va ricordato che l’imposta è dovuta solo se l’immobile è stato rivenduto entro cinque anni dall’acquisto o dalla fine dei lavori. Non è dovuta invece se l’immobile è stato utilizzato come abitazione principale per la maggior parte del periodo di possesso o se è stato acquisito per successione.
Per chi ha beneficiato del Superbonus 110%, il rispetto di queste regole è cruciale per evitare contestazioni. L’Agenzia delle Entrate, in più risposte a interpello nel 2024 e 2025, ha ribadito che la documentazione delle spese e delle date dei lavori è fondamentale per dimostrare la correttezza del calcolo della plusvalenza.
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