Il Sistema Pubblico di Identità Digitale, meglio noto come SPID, è salvo per i prossimi cinque anni, ma il costo finale per gli oltre 41 milioni di utenti è ora in discussione. I principali gestori hanno già introdotto un canone annuale. Scopri come la rivoluzione digitale italiana si scontra con la gratuità dei servizi essenziali.
L’Identità Digitale degli italiani ha evitato lo stop all’ultimo minuto. Nonostante il successo esponenziale di SPID, con oltre 1,2 miliardi di accessi registrati solo nel 2024 e più del 90% degli utenti internet che lo utilizza (dati Osservatorio Digital Identity del Politecnico di Milano), il suo futuro appare tutt’altro che solido. La proroga della convenzione è stata raggiunta in extremis tra Assocertificatori, AgID e il Dipartimento per la Trasformazione Digitale, garantendo la continuità operativa del sistema per un altro lustro.

Dietro l’accordo, tuttavia, resta aperta la questione mai risolta dei fondi pubblici promessi ai provider per coprire i costi di gestione e sicurezza del servizio. La digitalizzazione italiana procede a pieno ritmo, ma la sua direzione strategica è messa in discussione dalle spinte economiche dei privati e dalla visione del Governo in merito alla piattaforma unica nazionale. L’intesa chiude un lungo braccio di ferro, ma sposta il rischio di pagamento direttamente sul cittadino, minando il principio di universalità del servizio.
I costi in arrivo: il destino della gratuità per i milioni di utenti
La minaccia di un servizio a pagamento si è già concretizzata per una parte dell’utenza. L’introduzione di un canone annuo per il rinnovo è stata annunciata da diversi provider, adducendo il mancato versamento dei contributi pubblici attesi. Ad esempio, Aruba ha fissato il costo per il rinnovo a 4,90 € + IVA all’anno, mentre InfoCert prevede un costo di 5,98 € IVA inclusa all’anno, con applicazione dal 28 luglio 2025. Altri gestori, come Namirial, offrono l’attivazione gratuita solo con CIE, CNS o Firma Digitale, mentre applicano 19,90 € + IVA per la video-identificazione. Va notato che la stragrande maggioranza degli utenti, circa il 70% del totale, si affida ancora a Poste Italiane (PosteID), che ha mantenuto la gratuità del servizio.

Tuttavia, non esiste alcuna garanzia che questa situazione permanga, dato che la rinegoziazione dei costi è stata la chiave della proroga. La scelta dei provider di mettere a pagamento il servizio per gli utenti privati è un chiaro segnale della necessità di sostenibilità economica per la gestione di un sistema così capillare e complesso.
La strategia governativa tra CIE e il Digital Wallet europeo
Nonostante l’enorme diffusione di SPID, il Governo ha ribadito la volontà di puntare sulla Carta d’Identità Elettronica (CIE) come identità digitale definitiva. Il sottosegretario all’innovazione Alessio Butti ha più volte espresso il concetto che la CIE sia tecnicamente più sicura e meno vulnerabile rispetto a SPID, la cui gestione è frammentata tra diversi attori privati. Nonostante il 72% dei cittadini possieda una CIE, l’utilizzo per l’accesso ai servizi digitali è notevolmente inferiore rispetto a SPID, con dati che mostrano un utilizzo venti volte inferiore, come riportato da alcune analisi. Il piano strategico mira a integrare la CIE nel Digital Identity Wallet europeo (EUDI Wallet), che diventerà il nuovo standard continentale.
Secondo la Commissione Europea, gli Stati membri dovranno rendere il Wallet disponibile per i cittadini entro la fine del 2026. Questo portafoglio digitale permetterà di archiviare in modo sicuro documenti e credenziali direttamente sullo smartphone, e la sua fase sperimentale in Italia è già in corso attraverso l’IT Wallet all’interno dell’app IO. La transizione tra le due identità, in attesa dell’integrazione europea, rimane un nodo cruciale per il futuro dei servizi pubblici digitali.