Quando la salute non regge più ma la carriera è troppo breve, malattia e pensione diventano un binomio fondamentale da conoscere. Esiste infatti una possibilità poco nota che permette di smettere di lavorare con soli cinque anni di contributi, ma solo in casi molto specifici. Non si tratta di una scorciatoia, ma di una tutela pensata per chi non ha davvero alternative. Se la malattia limita gravemente la capacità lavorativa, conoscere le regole giuste può fare la differenza.
Non sempre si arriva alla pensione dopo trent’anni di lavoro. In alcuni casi, la vita impone uno stop improvviso: una malattia, un peggioramento fisico o mentale che rende impossibile continuare a svolgere qualsiasi attività. Quando succede, la domanda che sorge spontanea è: “E adesso?”.

Molti pensano che con pochi anni di contributi non ci sia via d’uscita. Eppure il sistema previdenziale italiano prevede alcune eccezioni. Eccezioni che non risolvono tutto, ma rappresentano un supporto importante per chi si trova improvvisamente fuori dal mondo del lavoro, senza prospettive di rientro.
In queste situazioni, malattia e pensione diventano un nodo centrale. Ma non basta avere una patologia o un certificato di invalidità: serve una valutazione rigorosa da parte dell’INPS, serve che la malattia incida in modo grave sulla capacità lavorativa, e serve anche avere versato almeno cinque anni di contributi, di cui tre nei cinque anni precedenti la domanda.
Come funziona davvero la pensione con soli cinque anni di contributi in caso di invalidità grave
Due sono le misure principali da conoscere: l’assegno ordinario di invalidità e la pensione di inabilità. Il primo è rivolto a chi ha una capacità lavorativa ridotta almeno del 67%, il secondo a chi non può più svolgere alcuna attività in modo definitivo.
L’assegno ordinario si ottiene con cinque anni di contributi, ma va rinnovato ogni tre anni. Dopo tre rinnovi diventa definitivo. Permette di lavorare, anche se con alcune limitazioni. La pensione di inabilità, invece, è compatibile solo con l’inattività totale: chi la riceve non può più svolgere alcun tipo di lavoro, nemmeno saltuario.

Non bisogna confondere queste misure con l’invalidità civile. La valutazione INPS è più tecnica e tiene conto del lavoro svolto. Una persona con la stessa patologia può avere esiti diversi in base alla mansione: un muratore e un impiegato con la stessa malattia vengono valutati in modo diverso.
Dal punto di vista economico, c’è un limite da considerare: con soli cinque anni di contributi l’assegno o la pensione avranno un importo molto basso, spesso vicino al minimo vitale. Per questo, queste prestazioni vanno viste come una protezione sociale più che come un vero sostituto dello stipendio.
Quando anche senza invalidità è possibile andare in pensione con cinque anni di contributi ma a 71 anni di età
Esiste un altro caso, meno legato direttamente alla salute, ma che può comunque interessare chi ha avuto una carriera breve o interrotta da problemi fisici: la pensione di vecchiaia nel sistema contributivo puro.
Chi ha cominciato a lavorare dopo il 1996 e non ha contributi precedenti può accedere alla pensione con soli cinque anni, ma deve attendere i 71 anni. In questo caso, malattia e pensione non si legano a una valutazione medico-legale, ma semplicemente al raggiungimento dell’età prevista.
Anche in questo scenario l’importo sarà calcolato solo sui contributi versati, con cifre spesso molto contenute. Tuttavia, per chi non ha alternative, può rappresentare una possibilità concreta.
È importante ricordare che, in assenza di altri requisiti, questa è una delle poche vie per ottenere una pensione legittima anche con una storia lavorativa irregolare o bruscamente interrotta.





