Qualcuno potrà andare in pensione senza l’aumento dell’età previsto, ma molti altri no. Il governo cerca un equilibrio tra sostenibilità e promesse fatte. E intanto il taglio Irpef porta benefici anche a chi guadagna molto. I conti devono tornare, ma chi ci guadagna davvero? Nella manovra spuntano limiti, soglie e ipotesi di selezione che possono cambiare gli scenari futuri. Le scelte non sono mai neutre e le differenze diventano sempre più evidenti. Ecco perché si torna a parlare di giustizia fiscale e previdenziale.
Il nuovo scenario che si sta delineando attorno al tema delle pensioni rischia di dividere profondamente chi oggi si avvicina alla fine della carriera lavorativa. Il tanto discusso aumento di tre mesi dell’età pensionabile, che scatterebbe automaticamente nel 2027 secondo i meccanismi di adeguamento alla speranza di vita, verrà sì congelato, ma non per tutti. La soglia discriminante potrebbe essere fissata a 64 anni compiuti entro il 2027: chi ci rientra, potrà evitare il rincaro dell’età, tutti gli altri no.

Il costo complessivo del blocco, secondo le stime del Ministero dell’Economia, supererebbe i 3 miliardi di euro l’anno. Ecco perché i tecnici stanno lavorando a un compromesso che limiti la spesa, senza rinunciare completamente all’impegno politico. La scelta di fissare un limite anagrafico permetterebbe di restringere la platea dei beneficiari e ridurre l’onere a circa 300 milioni. Ma comporta inevitabilmente una frattura tra chi riesce a entrare nella finestra favorevole e chi ne resta escluso, magari per pochi mesi.
Il blocco dell’aumento dell’età per la pensione arriverà ma sarà selettivo e non per tutti
Un caso pratico aiuta a capire meglio l’impatto di questa misura: un lavoratore che nel 2027 avrà compiuto 64 anni potrà andare in pensione a 67 anni, senza dover attendere i tre mesi in più. Ma un collega con un anno in meno, pur avendo magari già 43 anni di contributi, dovrà invece aspettare. Questo crea una disparità difficile da giustificare per chi si sente escluso da un diritto maturato con anni di lavoro.

Si discute anche di soluzioni alternative, come una finestra mobile, cioè un periodo di attesa tra il raggiungimento del diritto alla pensione e l’effettiva uscita. Oppure di una revisione dei coefficienti di trasformazione, quei parametri che incidono sul calcolo dell’importo dell’assegno. Ma al momento, l’unica certezza è che il blocco dell’aumento non sarà per tutti, e che questo farà inevitabilmente discutere.
Il taglio dell’Irpef favorisce anche i redditi alti ma si studiano soluzioni per limitarne l’impatto
Anche sul fronte fiscale ci sono novità importanti. La riduzione dell’aliquota Irpef dal 35% al 33% per i redditi tra 28mila e 35mila euro porta un beneficio che può arrivare fino a 440 euro annui. Tuttavia, per il funzionamento a scaglioni del sistema Irpef, questo sconto finisce per favorire anche chi ha redditi ben superiori. A guadagnarci sono anche coloro che dichiarano 50mila, 100mila o persino 150mila euro all’anno.
Questo effetto è giudicato problematico dai tecnici del Ministero dell’Economia, che stanno studiando soluzioni per “raffreddare” il vantaggio per chi non ha reale bisogno di uno sgravio. Si valuta l’introduzione di una soglia oltre la quale il beneficio venga ridotto o annullato, per evitare che un intervento pensato per il ceto medio diventi un vantaggio sproporzionato per i redditi alti.
Eppure, per chi rientra davvero nella fascia tra 28mila e 35mila euro, questo taglio rappresenta un aiuto concreto. In quella fascia, 440 euro l’anno possono fare la differenza nel bilancio familiare. Ma per chi guadagna il triplo, si tratta di una cifra quasi irrilevante, seppur concessa. Ed è qui che entra in gioco il tema della giustizia fiscale: un principio tanto invocato quanto difficile da applicare.