Dopo un periodo di maternità e in vista di un rientro a 30 ore settimanali, bisogna considerare diverse questioni normative e contrattuali per poter ottenere un aumento.
Innanzitutto, durante il congedo parentale, viste le modifiche dell’ultimo anno, l’indennità è stata elevata dal 30 all’80%. Questo vale per 3 mesi da fruire entro i primi sei anni di vita del bambino. Si tratta di un piccolo passo in avanti verso una tutela economica durante il periodo di maternità e congedo parentale.
Questo vale indipendentemente per i lavoratori del settore pubblico e privato che terminano il congedo dopo il 31 dicembre 2023. Gli aspetti da valutare per la richiesta di aumento sono i seguenti. Innanzitutto, una riduzione dell’orario di lavoro da 40 ore standard a 30 ore comporta, in linea di principio, una riduzione proporzionale della retribuzione a parità del medesimo livello contrattuale.
L’aumento di stipendio va valutato sia rispetto al calo di ore sia in base al riconoscimento del lavoro svolto. Da un punto di vista contrattuale, cioè del contratto collettivo nazionale applicabile, è determinante comprendere se esistono previsioni specifiche sull’orario ridotto post maternità nonché eventuali aumenti di cui si può beneficiare, magari in virtù di merito oppure anzianità.
La giurisprudenza recente sancisce che la parità di trattamento economico deve essere garantita anche dopo la maternità e che non si debba creare nessuna discriminazione neanche indiretta rispetto al lavoro full-time e ai colleghi maschi.
Su queste questioni si è espressa numerose volte recentemente la Cassazione e sempre con lo stesso orientamento. Tra l’altro, il rientro al lavoro part-time dopo la maternità era già tutelato dalla legge 151 del 2001 che apriva la porta a modalità flessibili in una logica di conciliazione di lavoro e famiglia.
Vediamo come formulare la richiesta di aumento. Per ottenere un aumento che copra almeno la riduzione di ore e quindi per mantenere un livello di reddito vicino a quello precedente, è importante richiedere un riconoscimento per aumento di responsabilità o produttività, anche sfruttando eventuali accordi sindacali.
Si può anche valutare con il datore di lavoro la possibilità di una progressione salariale connessa a incrementi graduali di livello o a premi di risultato. Gli esperti consigliano di verificare accuratamente il contratto collettivo nazionale e di preparare un dossier con dati precisi sulle precedenti retribuzioni, orari e retribuzioni simili in azienda o nel settore.
Può essere anche utile considerare una consulenza sindacale. A questo proposito, la normativa fondamentale di riferimento è il decreto legislativo 26 marzo 2001 numero 151, il cosiddetto Testo Unico per la tutela e il sostegno della maternità e paternità, già richiamato.
Questa legge fondamentale va a disciplinare i congedi obbligatori e quelli facoltativi, la tutela della salute della lavoratrice madre e i periodi di astensione dal lavoro. In virtù della legge, se ottenere un aumento che vada a compensare il calo delle ore lavorate può non essere semplicissimo, è assolutamente proibito che ci sia una riduzione ingiustificata dei diritti e trattamenti accessori come ferie, congedi, previdenza, eccetera.
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