La quota di pensione di reversibilità che spetta al superstite, quando vi sono assegni alimentari a carico del defunto, si calcola nel modo che segue.
Innanzitutto si deve tenere conto, ovviamente, delle aliquote standard della pensione di reversibilità, ma si deve porre una particolare attenzione al diritto del coniuge separato con assegno alimentare. Il coniuge superstite ha diritto, come conferma la recente giurisprudenza, a una percentuale della pensione che spettava o sarebbe spettata al defunto. Parliamo del 60% se è solo coniuge, mentre invece 80% se c’è anche un figlio e 100% nel caso di due o più figli.

Nel caso di coniuge separato legalmente, c’è il diritto alla reversibilità solo e unicamente se risulta titolare di assegno alimentare a carico del defunto. Questa è una condizione dalla quale non si può prescindere per il mantenimento del diritto alla pensione. Ma cosa accade nel caso di più superstiti?
In caso di moglie e figli cosa sapere per la reversibilità
Se ad esempio ci sono coniuge e figli, la pensione si distribuisce secondo le quote prescritte dalla legge, ad esempio 60% al coniuge e 20% al figlio, sino a un massimo del 100% complessivo. È importante tenere presente che la pensione totale si ricalcola sulla base della decorrenza originaria e si applicano anche i vari aggiornamenti, sia legali che perequativi.

Ma vediamo come si considerano gli assegni alimentari nel reddito del dante causa. Gli assegni alimentari a carico del defunto, che il diritto chiama dante causa, sono deducibili dal reddito complessivo del soggetto che li versa. Ciò accade purché derivino ovviamente da un provvedimento del giudice.
Da ciò discende direttamente, e la giurisprudenza lo conferma, che il reddito del defunto si considera al netto degli assegni alimentari corrisposti periodicamente a coniuge o ex coniuge. Questo meccanismo di deduzione segue comunque il principio di cassa, cioè si considerano soltanto gli assegni effettivamente versati nell’anno che si sta considerando.
Ma c’è anche molta confusione sul tema della pensione di reversibilità al figlio convivente. I figli hanno diritto alla pensione di reversibilità soltanto a condizioni molto precise. Innanzitutto, se sono minorenni alla morte del genitore e poi se sono studenti fino a 26 anni, oppure inabili a qualsiasi età e a carico del genitore quando c’è stato il decesso.
Dunque, come si può evincere facilmente, la convivenza del figlio con il genitore deceduto di per sé non conta quasi nulla, ma è fondamentale che il figlio rientri nelle categorie viste sopra. Al contrario, il convivente di fatto, quindi per esempio il partner non sposato e neppure unito civilmente, non ha diritto alla reversibilità. Per avere questo, c’è bisogno di ricorrere all’unione civile formalizzata.