Bonus in busta paga subito per 7000 lavoratori, ma la penalizzazione incombe sulla pensione

Un’opportunità che fa brillare lo stipendio, ma che lascia una scia di dubbi sul domani. Cosa sta succedendo a oltre 7.000 lavoratori che, pur avendo i requisiti per andare in pensione, decidono di restare in servizio? È solo questione di denaro? Oppure dietro c’è una scelta più complessa, sospesa tra presente e futuro, tra vantaggi immediati e possibili penalizzazioni? Il bonus in busta paga previsto per chi rimanda l’uscita dal lavoro è più di un semplice incentivo. Un meccanismo che oggi fa discutere e che, nel 2026, potrebbe cambiare radicalmente volto.

C’è un numero che spicca su tutti gli altri: oltre 7.000. Sono i lavoratori che, pur avendo già maturato il diritto alla pensione, hanno deciso di rimandare l’uscita. Non lo hanno fatto per senso del dovere o per attaccamento alla scrivania, ma perché un’opzione nuova e concreta ha cambiato le carte in tavola: il cosiddetto “bonus Giorgetti”.

persona felice per il bonus
Bonus in busta paga subito per 7000 lavoratori, ma la penalizzazione incombe sulla pensione-mondoefinanza.it

Un’opportunità che si traduce in uno stipendio più alto, grazie a una parte di contributi che, invece di finire all’INPS, restano direttamente in busta paga. Soldi veri, ogni mese. Una scelta che può apparire vincente, ma che porta con sé una variabile tutt’altro che secondaria: la pensione. Perché quei contributi trattenuti oggi, un domani potrebbero non esserci più a fare volume nel calcolo della prestazione.

Un bonus che aumenta lo stipendio, ma riduce il futuro previdenziale

Il cuore del bonus in busta paga è semplice: chi ha maturato il diritto alla pensione può scegliere di restare a lavorare, trattenendo nella propria busta paga la parte di contributi a suo carico, pari al 9,19%. In pratica, quei soldi non vanno all’INPS, ma finiscono direttamente nello stipendio mensile.

calcoli
Un bonus che aumenta lo stipendio, ma riduce il futuro previdenziale-mondoefinanza.it

Questa misura, pensata per incentivare la permanenza al lavoro, si è già guadagnata l’adesione di oltre 7.000 persone. Un numero importante, che mostra quanto il vantaggio economico immediato sia allettante. Del resto, chi non vorrebbe portarsi a casa qualche centinaio di euro in più al mese, soprattutto in un periodo di inflazione elevata?

Tuttavia, questa scelta ha un effetto concreto sul calcolo della pensione futura. La quota non versata all’INPS non alimenta il montante contributivo individuale. Il rischio è di percepire, in futuro, una pensione meno generosa. Ma c’è una compensazione: il datore di lavoro continua a versare il suo 23%, quindi un aumento della pensione è comunque possibile, anche se più contenuto.

Un esempio reale aiuta a capire: un dipendente con 2.000 euro netti potrebbe ricevere circa 180 euro in più al mese. Un beneficio immediato, ma che deve essere valutato alla luce della propria posizione contributiva e degli anni lavorati.

Il 2026 cambia le carte in tavola con la quota 41 flessibile

Il quadro potrebbe evolversi nel 2026. Con l’ipotesi di una nuova quota 41 flessibile, chi ha almeno 41 anni di contributi potrebbe andare in pensione prima, accettando però una riduzione del 2% per ogni anno di anticipo rispetto ai 67 anni.

Per chi oggi sfrutta il bonus in busta paga, questa prospettiva può essere interessante. Continuare a lavorare fino al 2025, beneficiando dello sgravio contributivo, e poi accedere alla pensione anticipata nel 2026 potrebbe essere una strategia vantaggiosa. Anche perché i mesi aggiuntivi di contributi e un’età più avanzata migliorano il calcolo dell’assegno previdenziale.

La combinazione tra stipendio più alto oggi e pensione più ricca domani, se ben pianificata, potrebbe rivelarsi la soluzione ideale. Tuttavia, resta il rischio che il sistema cambi di nuovo, lasciando chi ha posticipato l’uscita con poche garanzie.

Le scelte in ambito previdenziale, oggi più che mai, richiedono valutazioni attente e personalizzate.

Gestione cookie