Lavoratore pedinato durante i permessi 104 vince in tribunale e ottiene la reintegra

Un lavoratore con disabilità viene licenziato durante i permessi della Legge 104 ma il tribunale lo reintegra per violazione della privacy e abuso nei controlli del datore di lavoro. Una decisione destinata a cambiare il modo in cui le aziende sorvegliano i dipendenti. In gioco non c’è solo il diritto all’assistenza, ma il rispetto della dignità della persona, troppo spesso calpestato da controlli arbitrari. È il momento di fare chiarezza sui veri limiti di legge e sulle tutele reali di chi usufruisce di questi permessi.

Nel cuore di Chioggia, in un piccolo minimarket, si è consumato un caso destinato a fare storia. Un dipendente con grave disabilità certificata, regolarmente in permesso grazie alla Legge 104, è stato licenziato dopo che l’azienda aveva fatto pedinare i suoi spostamenti tramite un investigatore privato. Il sospetto? Che stesse lavorando altrove, in un’agenzia assicurativa. Ma nessun elemento concreto era emerso, solo voci e illazioni.

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Lavoratore pedinato durante i permessi 104 vince in tribunale e ottiene la reintegra-mondoefinanza.it

La reazione del lavoratore è stata immediata: impugnazione del licenziamento e avvio di una causa presso il Tribunale del Lavoro di Venezia. Il risultato è stato sorprendente per molti, ma coerente con i principi di legge: licenziamento nullo, prove inutilizzabili, reintegro del lavoratore. Il caso è diventato un simbolo, una lente d’ingrandimento sulla tensione crescente tra controllo aziendale e tutela dei diritti individuali.

Il datore di lavoro può davvero spiare i dipendenti durante i permessi Legge 104 solo se ci sono sospetti gravi e documentati

L’utilizzo dei permessi retribuiti della Legge 104 è un diritto sancito da una normativa che tutela chi è in situazioni di fragilità o deve assistere familiari con disabilità grave. Tuttavia, capita che i datori di lavoro sospettino abusi e decidano di ricorrere a mezzi invasivi per verificare l’uso effettivo del permesso. È qui che il diritto si scontra con il limite della legalità.

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Il datore di lavoro può davvero spiare i dipendenti durante i permessi Legge 104 solo se ci sono sospetti gravi e documentati-mondoefinanza.it

Nel caso del lavoratore di Chioggia, il Tribunale ha chiarito che l’impiego di un investigatore privato non può basarsi su semplici supposizioni. I controlli sono legittimi solo se esistono sospetti concreti e specifici, documentati da indizi attendibili. In assenza di queste condizioni, qualsiasi prova raccolta perde validità. Il tribunale ha quindi ritenuto l’intervento dell’azienda un’eccessiva violazione della privacy, rendendo nullo il licenziamento.

Anche la Cassazione in casi simili ha stabilito che i controlli occulti devono rispettare criteri di proporzionalità e necessità. I lavoratori non possono essere trattati come sospettati per il solo fatto di esercitare un diritto. L’abuso di strumenti di sorveglianza è un danno alla persona, ma anche un boomerang per l’azienda che rischia sanzioni, reintegri e risarcimenti.

Usare i permessi Legge 104 non vuol dire dover fornire assistenza in modo continuo e senza pause durante tutta la giornata

Un altro punto cruciale affrontato dalla sentenza riguarda l’uso del permesso. Spesso si tende a pensare che, durante le giornate di assenza concesse dalla Legge 104, il lavoratore debba fornire un’assistenza ininterrotta e visibile. Nulla di più sbagliato. Secondo quanto affermato anche dall’INPS e dalla giurisprudenza consolidata, i permessi possono includere anche attività funzionali al benessere psicologico e familiare.

Nel caso specifico, il dipendente si era recato in un luogo tranquillo, senza svolgere alcuna attività lavorativa. Questo comportamento non è stato ritenuto in contrasto con le finalità della norma. Anzi, è stato considerato perfettamente lecito, perché coerente con l’esigenza di integrazione familiare e sociale. Non è richiesto che il lavoratore debba “dimostrare” minuto per minuto come impiega quel tempo.

Il licenziamento durante il permesso Legge 104, quando fondato su presunzioni e controlli arbitrari, diventa non solo ingiustificato ma anche nullo. Questa sentenza lo ha ribadito con forza, ponendo un argine a una deriva pericolosa per chi vive situazioni di fragilità. Il messaggio è chiaro: il diritto alla cura, alla privacy e alla dignità non può essere sacrificato sull’altare del sospetto.

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