Cedere la casa al proprio figlio può sembrare una decisione semplice e vantaggiosa. Ma dietro a questo gesto si nascondono implicazioni fiscali, legali e familiari che spesso vengono sottovalutate. Donare la nuda proprietà, mantenendo l’usufrutto, appare come una mossa furba per risparmiare sulle imposte, ma non sempre è la soluzione più sicura. Alcune scelte, fatte con le migliori intenzioni, possono trasformarsi in problemi duri da risolvere. Prima di procedere, è essenziale conoscere bene cosa comporta questa decisione e valutare ogni variabile.
Nel momento in cui un genitore decide di trasferire la proprietà di una casa al proprio figlio, lo fa spesso con il cuore e con l’idea di garantire una stabilità. La casa rappresenta non solo un valore economico, ma anche affettivo. Per questo motivo si tende a pensare che anticipare il passaggio di proprietà, evitando le future imposte di successione, sia un’idea sensata. Tuttavia, la normativa italiana è piena di sfumature che rendono questa operazione più delicata di quanto sembri.

La donazione, infatti, ha effetti immediati ma anche conseguenze future che non sempre si colgono nell’immediato. Il rischio di azioni legali, le difficoltà nella vendita dell’immobile e l’eventuale presenza di altri eredi sono elementi che possono complicare notevolmente la situazione. A volte, ciò che sembra una mossa prudente può diventare fonte di tensioni familiari e ostacoli burocratici.
I vantaggi fiscali della donazione della nuda proprietà
Donare la nuda proprietà di un immobile, mantenendo per sé l’usufrutto, è una strategia spesso adottata per contenere il carico fiscale. Questo perché le imposte vengono calcolate non sul valore totale della casa, ma solo sulla nuda proprietà, il cui valore dipende dall’età del donante. Più giovane è il genitore, più alto sarà il valore dell’usufrutto, e quindi più basso quello della nuda proprietà da tassare.

Inoltre, quando il trasferimento avviene tra genitori e figli, si applica una franchigia molto alta: fino a un milione di euro per ogni figlio. Questo rende l’imposta di donazione spesso pari a zero. Se il beneficiario ha i requisiti per la prima casa, anche le imposte ipotecaria e catastale si riducono a importi simbolici. Un ulteriore vantaggio è dato dalla possibilità di utilizzare il valore catastale come base imponibile, più basso rispetto a quello di mercato.
Il beneficio si concretizza appieno al momento della morte del genitore. L’usufrutto si estingue e il figlio diventa pieno proprietario senza ulteriori imposte. Non è nemmeno necessario inserire l’immobile nella dichiarazione di successione, semplificando le pratiche ereditarie.
Le insidie nascoste e i rischi legali
Nonostante i benefici, donare la casa al figlio può comportare rischi significativi. Il primo problema riguarda l’irrevocabilità dell’atto: una volta effettuata la donazione, il genitore perde il potere di vendere l’immobile o di utilizzarlo come garanzia. Ma il pericolo più grande arriva con l’eventuale presenza di altri eredi.
Secondo la legge italiana, la donazione fatta in vita viene considerata un anticipo sull’eredità. Se l’atto danneggia la quota spettante ad altri legittimari, questi possono impugnarlo entro dieci anni dalla morte del donante. Questo rende l’immobile difficile da vendere: molti compratori e banche si tengono alla larga da case ricevute in donazione, proprio per paura di cause future.
Anche i rapporti familiari possono risentirne. In assenza di una pianificazione condivisa, una donazione può generare malumori tra fratelli e alimentare conflitti destinati a durare anni. Per questo è fondamentale valutare attentamente il contesto familiare e, se necessario, consultare un professionista.