Una passeggiata al supermercato può trasformarsi in un grosso guaio. Chi è in malattia non è agli arresti domiciliari, ma nemmeno libero di fare ciò che vuole. Eppure, alcuni lavoratori sono stati licenziati per essere usciti di casa in momenti sbagliati o per comportamenti giudicati incompatibili con il proprio stato di salute. Il confine tra legittimità e violazione è sottile, e spesso sottovalutato. Ecco perché, quando si parla di malattia e obblighi di reperibilità, ogni dettaglio conta, e può fare la differenza tra una semplice assenza e la perdita del posto.
Il termine malattia fa pensare subito al letto, al riposo forzato, ma la realtà è molto più complessa. In tanti casi, uscire di casa è necessario o persino terapeutico. Tuttavia, ogni passo fuori dalla porta può diventare motivo di contestazione. Il sistema dei controlli non è lì per punire, ma per evitare abusi.

Eppure, anche chi agisce in buona fede può incappare in gravi conseguenze se non rispetta le regole, soprattutto quelle legate alle fasce di reperibilità. Sbaglia chi crede che basti “avere il certificato”. Quello è solo l’inizio di un percorso fatto di obblighi precisi, gesti misurati e molta attenzione.
Le fasce di reperibilità: un obbligo da non prendere alla leggera
Quando un lavoratore è in malattia, è tenuto a rispettare due precise fasce orarie ogni giorno: dalle 10:00 alle 12:00 e dalle 17:00 alle 19:00. In questi intervalli, deve trovarsi all’indirizzo comunicato all’INPS, pronto a ricevere una visita fiscale. Non si tratta di una formalità, ma di un dovere che, se violato, può portare a sanzioni economiche e persino al licenziamento per giusta causa.

Essere assenti anche solo una volta, senza giustificazione documentata, può significare la perdita dell’indennità per i primi dieci giorni. Una seconda assenza fa scendere la copertura al 50%. Alla terza, l’indennità può essere sospesa del tutto. E in certi casi, soprattutto se il comportamento è recidivo o ritenuto scorretto, il datore di lavoro può interrompere il rapporto.
Eppure, ci sono eccezioni. Chi deve sottoporsi a visite mediche urgenti, chi è affetto da patologie gravi o ha un’invalidità riconosciuta oltre il 67% può essere esonerato dalla reperibilità. Ma l’esonero deve essere segnalato dal medico curante e indicato nel certificato telematico.
Uscire in malattia è sempre un rischio? Non proprio, ma serve buon senso
Fuori dalle fasce di reperibilità, la legge non vieta di uscire. Ma attenzione: ogni comportamento deve essere coerente con il motivo dell’assenza. Una persona in malattia per depressione, ad esempio, può trarre beneficio da una passeggiata, se prescritta dal medico. Al contrario, un lavoratore con una lombalgia documentata che viene visto caricare scatoloni o fare sport estremo rischia grosso.
Anche il luogo in cui si trascorre la malattia ha un peso. Si può stare da un parente, in villeggiatura o altrove, ma è essenziale che l’indirizzo sia aggiornato con INPS e datore. In caso di mancata comunicazione, la visita fiscale fallisce e scattano le sanzioni.
I giudici hanno confermato che persino dettagli come un nome non visibile sul citofono o un campanello rotto possono portare a considerare il lavoratore irreperibile. E in quel caso, la responsabilità è solo sua.
Essere in malattia significa curarsi con serietà, evitando ogni azione che possa compromettere la guarigione. Agire in modo compatibile con il proprio stato di salute non è solo un obbligo legale, ma un gesto di rispetto verso chi tutela il diritto alla salute e verso il proprio lavoro. Vale davvero la pena rischiare tutto per una spesa fuori orario?