Quando un semplice risparmiatore si vede negare il rimborso di un buono fruttifero, tutto può cambiare con una sola sentenza. Il Tribunale civile di Napoli ha emesso una decisione che potrebbe riscrivere le regole per migliaia di cittadini. Con la sentenza n. 906 del 24 gennaio 2025, è stato stabilito che un rifiuto basato su calcoli errati e interpretazioni scorrette della normativa può essere annullato. Un caso emblematico che riguarda la serie CE, ma che tocca ogni titolare di buoni fruttiferi postali. Dietro una vicenda individuale si cela un principio più ampio: il rispetto rigoroso delle regole e la tutela dei risparmiatori. Questa storia dimostra che far valere i propri diritti, anche contro grandi enti, è possibile.
Molti considerano i buoni fruttiferi un investimento semplice, sicuro, accessibile. Sono spesso regalati ai figli o custoditi con cura per anni in attesa del momento giusto. Ma quando arriva quel momento, il rischio è di trovarsi davanti a sorprese. È ciò che è accaduto al protagonista di questa vicenda.

Convinto di riscuotere un importo certo, si è visto riconoscere una somma molto inferiore, senza spiegazioni convincenti. Da qui, il ricorso in tribunale e una decisione che oggi fa parlare tutto il Paese.
La sentenza del Tribunale civile di Napoli sul buono fruttifero serie CE mette in discussione i rimborsi calcolati in modo errato da Poste Italiane
Il caso riguarda un buono fruttifero postale della serie CE, emesso nei primi anni Duemila e regolato dal decreto ministeriale del 30 giugno 2000. Questo tipo di titolo ha una durata di dieci anni e alla scadenza garantisce un rendimento lordo pari al 65% del capitale. Dopo il decimo anno, il buono smette di produrre interessi ma resta esigibile per altri dieci. Il problema nasce quando l’ente emittente, nel rimborsare il buono, applica una metodologia di calcolo errata, ignorando le maggiorazioni previste e la sospensione dei termini durante l’emergenza Covid.

La sentenza n. 906/2025 ha chiarito che Poste Italiane, nel caso in esame, ha omesso di applicare i corretti tassi di rendimento e ha calcolato la ritenuta fiscale in modo sfavorevole al risparmiatore. La normativa fiscale stabilisce che i buoni emessi dopo il 1° settembre 1987 sono soggetti a una ritenuta del 12,5%. Tuttavia, errori nei calcoli hanno spesso portato a una trattenuta superiore o alla mancata applicazione degli interessi legali post-scadenza.
Inoltre, la sospensione dei termini di prescrizione tra il 1° febbraio 2020 e il 31 luglio 2021, introdotta per tutelare i cittadini durante la pandemia, estendeva la validità dei buoni scaduti in quel periodo fino al 30 settembre 2021. Il tribunale ha ritenuto illegittimo il rifiuto del rimborso presentato entro questa finestra temporale. Ha quindi stabilito che il titolare del buono ha diritto al rimborso completo, comprensivo di interessi moratori e spese legali.
La decisione del giudice rafforza la tutela dei risparmiatori contro rimborsi incompleti e interpretazioni scorrette della normativa postale
Il valore di questa sentenza va oltre il singolo rimborso. Essa rafforza il principio secondo cui l’ente emittente deve rispettare rigorosamente le norme che regolano ogni serie di buoni fruttiferi postali, evitando calcoli approssimativi e interpretazioni arbitrarie. Molti cittadini, infatti, si fidano delle cifre comunicate allo sportello, senza sapere che potrebbero essere penalizzati da errori sistematici.
Nel caso specifico, il tribunale ha condannato Poste Italiane al rimborso corretto del buono, ma anche al pagamento degli interessi moratori e delle spese legali sostenute dal titolare. Questo ha un effetto chiaro: invia un messaggio forte a tutti gli enti emittenti e rassicura chi, in buona fede, ha conservato i propri risparmi in questi strumenti.
Per molti risparmiatori, è l’occasione per rivedere i propri titoli, verificare la serie, controllare la scadenza e valutare se i calcoli ricevuti corrispondono realmente al valore maturato. Quando c’è un dubbio, è possibile farsi assistere da esperti o, nei casi più gravi, rivolgersi a un giudice. Questa sentenza dimostra che anche il cittadino più comune può ottenere giustizia se la legge è dalla sua parte.