Molti pensano che la pensione di reversibilità possa essere trasmessa come un’eredità, ma la realtà è molto diversa e spesso sconosciuta. Quando muore chi già percepiva la pensione del coniuge defunto, i familiari si trovano davanti a un muro normativo inatteso. In un recente caso, la Cassazione ha confermato una regola che cambia le carte in tavola per tanti. Una sentenza che ha acceso i riflettori su un aspetto della previdenza poco discusso ma cruciale per tante famiglie. Vale davvero la pena approfondire cosa accade nei fatti. Il rischio di aspettative deluse è molto alto.
C’è chi vive con l’unica entrata della pensione del coniuge defunto e, alla morte del beneficiario, crede che questa possa passare a un figlio o a un parente a carico. È una speranza comprensibile, che spesso nasce dalla necessità di sopravvivere. Ma il diritto previdenziale non funziona secondo criteri affettivi o patrimoniali.

Funziona secondo regole rigide. È quello che ha scoperto una donna inabile al lavoro, che alla morte della madre, beneficiaria della pensione di reversibilità del marito, si è vista negare dall’INPS ogni possibilità di riceverla. Una storia vera, arrivata fino in Cassazione, che ha chiarito un concetto fondamentale: la reversibilità non si eredita.
Perché la pensione di reversibilità non rientra tra i beni che si trasmettono agli eredi alla morte del beneficiario
La pensione di reversibilità è una prestazione di natura previdenziale, non un bene patrimoniale. Questo significa che non entra nell’eredità e non può essere trasmessa agli eredi come fosse una casa, un conto corrente o un’auto. La legge stabilisce che solo determinati familiari del lavoratore o pensionato deceduto possono beneficiarne: coniuge superstite, figli minorenni o inabili, e in casi particolari altri parenti stretti, ma solo se dimostrano di essere economicamente a carico.

Nel caso esaminato dalla Corte di Cassazione nel 2024 (ordinanza n. 14287), una figlia inabile aveva chiesto all’INPS di continuare a ricevere la pensione che la madre percepiva per la morte del marito. La Corte ha però escluso questa possibilità, sottolineando che il diritto alla reversibilità non si trasferisce da un beneficiario all’altro, ma nasce esclusivamente dal rapporto diretto con il lavoratore o pensionato originario.
Quindi, anche se la figlia era a carico della madre, non essendo parente del lavoratore originario non aveva titolo per subentrare nel trattamento. La pensione, in questo caso, si estingue con la morte del beneficiario. Questo principio, pur sembrando duro, è volto a tutelare l’equilibrio finanziario del sistema previdenziale e non lascia spazio a interpretazioni estensive.
Chi può davvero ricevere la pensione ai superstiti e cosa accade se mancano i requisiti richiesti dalla legge
La pensione ai superstiti, spesso indicata semplicemente come reversibilità, spetta solo a chi aveva un legame diretto con il lavoratore deceduto e si trova in una condizione di bisogno prevista dalla legge. Non basta essere conviventi, economicamente dipendenti o anche inabili. Serve dimostrare il legame giuridico con il titolare originale della pensione.
Il coniuge superstite ha diritto in ogni caso, anche se separato o divorziato con assegno. I figli possono riceverla se minori, studenti o inabili. I genitori o fratelli, solo in casi molto limitati. Quando muore il coniuge che percepiva la reversibilità, questa si estingue, a meno che non vi siano altri familiari che rientrano tra i superstiti del lavoratore originario.
Chi resta senza questo sostegno può eventualmente fare richiesta di altre prestazioni, come l’assegno sociale, ma si tratta di strumenti diversi, con criteri autonomi. La pensione di reversibilità non può essere “trasmessa” in automatico a chi conviveva con il beneficiario, nemmeno in presenza di invalidità o di comprovata necessità.
La legge resta ferma nel distinguere tra ciò che è ereditabile e ciò che non lo è. La pensione ai superstiti non appartiene al patrimonio, ma è un diritto personale legato alla relazione con il lavoratore defunto. Una distinzione che può sembrare crudele, ma che determina l’accesso o meno a una forma fondamentale di sostegno economico. Forse, alla luce dei cambiamenti sociali, è il momento di chiedersi se queste regole siano ancora adeguate alle famiglie di oggi