Un cuore che batte troppo in fretta, ma non è il tuo. Una malattia che si nasconde nei dettagli più piccoli, eppure racconta qualcosa di grande. Quando una razza felina inizia a mostrare sintomi simili a quelli dell’uomo, la curiosità diventa scienza. Il colesterolo non è più solo una questione di dieta, ma una firma genetica condivisa. In questo scenario, una scoperta sorprendente cambia la prospettiva: una razza di gatti, il Korat, diventa protagonista in un’indagine che parla anche di noi.
In Thailandia, il Korat è considerato un portafortuna. Elegante, silenzioso, occhi grandi e profondi. Ma dietro il suo aspetto affascinante si nasconde una fragilità genetica. Una mutazione, identificata nel gene LDLR, compromette la capacità del corpo di eliminare il colesterolo LDL, lasciandolo libero di accumularsi nei vasi sanguigni.
La malattia che ne deriva è l’aterosclerosi, nota per colpire milioni di persone, ma che ora mostra il suo volto anche nei felini. E proprio qui si apre uno scenario inatteso, perché i meccanismi che la regolano nei gatti sono simili a quelli dell’ipercolesterolemia familiare umana. Si tratta di un’ereditarietà autosomica recessiva: due genitori portatori sani possono avere cuccioli malati, anche se loro non mostrano sintomi evidenti. Ecco perché il test genetico diventa fondamentale nella selezione responsabile degli esemplari.
Il legame tra il gatto Korat e l’uomo non è solo simbolico. Studiando il comportamento della mutazione genetica nel felino, è possibile comprendere meglio cosa accade nel corpo umano in presenza di colesterolo alto ereditario. I sintomi nei gatti non sono molto diversi da quelli umani: difficoltà respiratorie, debolezza, dolori agli arti, fino a complicazioni gravi come trombosi o insufficienza renale. Il gene LDLR, che produce il recettore per il colesterolo, risulta non funzionante nei Korat affetti.
Senza questo recettore, il fegato non riesce a rimuovere il colesterolo in eccesso, che si accumula e danneggia le arterie. Negli esseri umani, un ruolo simile lo svolge anche il gene PCSK9, che regola la disponibilità di recettori. Nei gatti questo gene è assente, ma l’assenza non basta a proteggerli, se il LDLR non funziona. La presenza della stessa mutazione in due specie diverse suggerisce un modello naturale per approfondire le basi genetiche dell’aterosclerosi. È un’occasione preziosa per la medicina umana, perché consente di testare approcci terapeutici e migliorare la prevenzione.
Oggi è possibile eseguire un test genetico nei gatti Korat per identificare i portatori della mutazione e prevenire l’insorgenza della malattia. Una misura simile, se adottata anche nella medicina umana, aiuterebbe a individuare per tempo chi è a rischio di ipercolesterolemia familiare. Un approccio basato sulla genetica e non solo sui sintomi potrebbe ridurre notevolmente i casi di infarti precoci e ictus. L’aterosclerosi, in fondo, è una malattia che si sviluppa nel silenzio e solo dopo anni si rende visibile con conseguenze anche fatali. Il Korat ci offre quindi una lente inaspettata su un problema globale. Questa scoperta ha anche favorito una nuova collaborazione tra veterinaria e medicina umana, due ambiti che troppo spesso viaggiano separati.
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